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TI HO INCONTRATA DOMANI Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 23 novembre 1989
 
di Pio Bordoni, con Cochi Ponzoni, Silli Togni (Svizzera, 1989)
C'è chi pecca d'avarizia, e chi per eccesso di generosità.

Inutile dire a chi vada la nostra simpatia, e TI HO INCONTRATA DOMANI è un film estremamente simpatico. Parte da una sceneggiatura firmata da Mario Garriba, che è qualcuno che il suo mestiere lo conosce: taglio disinvolto, moderno come si dice - magari sin troppo -, dialoghi scoppiettanti.

Ma com'è che, quando rivedo TI HO INCONTRATA DOMANI, finisce per tornarmi immancabilmente in mente un altro film giovane, anch'esso presentato quest'anno a Locarno, DOV'È LA CASA DELL'AMICO?

Per una ragione assai semplice, probabilmente: che pensare a quel piccolo film iraniano aiuta a leggere il film ticinese. Ambedue sono infatti dei film d'esordio, con tutto ciò d'aperto, d'entusiastico, d'urgente da dire, che un film d'esordio comporta. Ma il primo, a differenza del secondo, è un film semplice. È la storia - qualcuno avrà visto questo splendido pardo d'argento dell'ultimo festival - di un ragazzino di campagna: che, alla sera, si ritrova per errore nella cartella il quaderno del compagno di banco. Questi, che è già in disgrazia col maestro, non può permettersi di ripresentarsi all'indomani senza aver fatto i compiti. E tutto il film si costruisce in quelle poche ore che separano l'ora del ritorno a casa dalla notte incipiente: in quella ricerca, sempre più affannosa, disperata poiché il piccolo protagonista ignora l'indirizzo dell'amico, per rendere un quaderno di scuola.

Fare cinema è, al tempo stesso, tremendamente semplice e difficile: basta trascrivere un'idea che sta sulla carta - o nella mente - in un segno che iscriva un personaggio, e la sua storia, in un ambiente. Questo segno, nel film iraniano, è quello di un itinerario: un sentiero di campagna che lega i due villaggi abitati dai due ragazzini, incessantemente percorso in un tempo, anche cinematografico, che si fa progressivamente più urgente. Basterà allora, in uno schema così elementare ed efficace, osservare il mondo che ci sta attorno con freschezza ed attenzione: e si assisterà alla nascita, su una scansione temporale degna del miglior Hitchcock, di una testimonianza di vita commovente, primordiale. Dicendo poco, si riesce a dire tutto.

TI HO INCONTRATA DOMANI, con tutte le differenze esistenziali, culturali o etiche che spiegano il fatto, si situa all'opposto: la voglia di dire di un cineasta giovane che si traduce in una volontà di dire molto. Raccontando il girotondo sentimentale di un buontempone, incerto fra svariate mogli, amanti, amiche e cassiere, Bordoni racconta un po' tutto il cinema: il marivaudage dei sentimenti alla Rohmer nella desolata, antonioniana impossibilità di trovare terra ferma (la difficoltà di comunicare, si diceva allora), la tragicomica commedia surrealista ben immersa nella realtà contemporanea alla Moretti, in una situazione atemporale (dove passato, presente e futuro delle relazioni si seguono nel film senza possibilità di ritrovare una cronologia che non sia quella della barba che appare sul volto del protagonista) alla Resnais, il mosaico critico - esistenziale alla Altman. È tutto molto bello, ma anche tutto troppo: perché esige, tanto per incominciare, quell'impeccabile rigore della lingua che s'impara dopo molto tempo.

Una scelta degli attori, ad esempio, che si allei alla consapevolezza della loro direzione (e qui è ancora la brava Silli Togni ad uscirne con il massimo di verità). Un amalgama fra il carattere delle immagini (delle inquadrature, delle focali, e via dicendo) e dei suoni (in presa diretta, o in ricostruzione post-sincronizzata,) che indirizzi sicuramente verso una lettura realistica, oppure in chiave onirico-satirica. Una musica, anche questa simpatica come quella di Sergio Caputo, che selezioni con parsimonia i vari momenti emotivi. O un montaggio, che incida senza esitazioni a definire il tutto.

È un entusiasmo, quello del giovane cineasta luganese, che rallegra e contagia: ma che arrischia di spuntarsi le unghie urtandosi alla complessità, anche semplicemente industriale, del giocattolo cinema.


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